Ep.4 Spiriti Inquieti
In cui il Detective Sagrin scopre che i morti hanno la memoria fin troppo lunga.
La storia di Detective Sagrin sta entrando nel vivo!
Per chi si fosse perso l’inizio dell’avventura ecco i link agli episodi precedenti:
Sagrin arrivò al Carcere delle Vallette sfrecciando rumorosamente sulla sua Fiat Marea Weekend, mentre il cielo plumbeo di Torino scivolava attraversando i finestrini.
Dopo aver parcheggiato nell’area visitatori, si fermò ancora un attimo in auto ad ascoltare una versione bossa nova di Vamos a la playa, tamburellando con le dita sul volante.
Il sole pallido si rifletteva sulla vernice screpolata color melanzana dell’auto, e vaghi riflessi iridescenti si spandevano nell’abitacolo color mogano mentre Sagrin accartocciava la sigaretta nel portacenere.
Il detective si sentiva irritato per dover passare la giornata in quel luogo di pena per cani sciolti, criminali e anime logore, e il fatto di non poter fumare in carcere peggiorava la situazione.
Ma un lampo gli attraversò il volto. Nel vano portaoggetti trovò un bastoncino di liquirizia, dimenticato e avvizzito. Lo mise in bocca senza dire una parola.
Era alle Vallette per far visita alla Duchessa, che da giorni recitava la parte più patetica della sua carriera: uno sciopero della fame.
Aveva dichiarato che non avrebbe toccato cibo finché non avesse potuto parlare con il detective Sagrin.
Lo sciopero era motivo di grandi risate in tutto il carcere: non era sfuggito alle compagne di cella il trambusto notturno, il rumore di grissini spezzati e l’inconfondibile odorino di salame che proveniva dalla sua stanza.
Sagrin alzò lo sguardo al cielo torinese, come in cerca di un segnale che non sarebbe arrivato. Poi varcò l’ingresso.
Raggiunta la sala comune, vide la Duchessa dietro la parete in plexiglass e accostò l’orecchio all’interfono. Si mormorava che volesse rivelargli qualcosa di “enorme”, qualcosa che avrebbe scosso i vivi e i morti.
«Cara Duchessa, per caso questa notte ha svaligiato una panetteria? La vedo cosparsa di briciole alquanto sospette».
«La vedo di buon umore, detective. Ma non c’è niente da ridere».
«Mi lasci indovinare: l’assassino è il maggiordomo».
«Lei è un vero incompetente, detective. E il mio maggiordomo, le ricordo, è qui per colpa sua».
«Va bene, facevo un po’ di ironia. La ascolto, proceda».
La Duchessa abbassò gli occhi che Sagrin notò essere persi nel vuoto e con una vena di terrore.
Il detective si fece serio. Estrasse dalla tasca dell’uniforme il suo taccuino dei casi, consumato e pieno di schizzi sovrapposti.
Amava disegnare i casi tanto quanto odiava scrivere, e soprattutto mantenere il contatto visivo con le persone.
«Mi ascolti attentamente. Quello che sto per dirle resterà sepolto qui. Le sedute spiritiche sono la mia dimensione, l’occulto il mio palcoscenico. Ma ecco, negli ultimi tempi c’era una certa penuria nelle apparizioni. Un silenzio assordante. E quindi mi ero premurata di aggiungere un po’ di movimento agli incontri, un po’ di fiction se vogliamo».
«La seguo, signora. Tutti noi a questo mondo ci troviamo a recitare una parte, nel suo caso a fronte di guadagni ingenti oserei dire».
Il taccuino di Sagrin si stava popolando di tratti rapidi a matita: due occhi di donna, un’ombra nera dietro di lei.
«Lasci perdere le sue considerazioni. Apra le orecchie. Durante l’ultima seduta i morti c’erano davvero, li sentivo sulla mia pelle, sentivo il loro odore addosso, urlavano e si contorcevano. E parlavano».
«Certe persone non la smettono di parlare neanche da morte», borbottò Sagrin intento a disegnare.
«Sì, e le cose che dicevano…non dormo da giorni. Dicevano che tutti noi siamo finiti, il nostro tempo, la realtà per come la conosciamo».
Sagrin la fissò brevemente rigirando il bastoncino di liquirizia nella bocca.
«Continui».
«Sapevano il suo nome, detective. Manlio, corretto?»
Sagrin smise di disegnare. Il bastoncino di liquirizia si fermò nella sua bocca. La matita lasciò un segno scuro sul foglio.
«Nessuno conosce quel nome», disse piano. «Tranne Buonanima di mia madre e quel farabutto di mio padre».
Per un attimo il detective sembrò più vecchio, più piccolo. Poi il sorriso tornò, stiracchiato e falso.
«E cosa vogliono da me, questi suoi spettabili morti?»
La Duchessa si avvicinò al vetro.
«Sagrin, si sbrighi a tirarmi fuori di qui. Stanno per uscire, detective. Tutti quanti. E presto. Lei non ha idea di cosa si stia svegliando sotto Torino».
Il detective uscì dal carcere con un peso sul cuore.
Ad accoglierlo la sua macchina con le gomme squarciate di netto.