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Oggi entra in scena la Duchessa, un personaggio di un certo calibro.
Introduzione: La Duchessa
Beatrice era nata a Beinasco, un paese in provincia di Torino divorato da capannoni industriali e discount primo prezzo, dove la sua famiglia prosperava grazie a un mestiere immune alla crisi: le pompe funebri.
Di padre in figlio vestivano cadaveri e consolavano vedove.
Beinasco non produceva più mais e patate come in passato, ma lapidi in serie: la popolazione era composta quasi esclusivamente da anziani, e la loro famiglia era l’unica a custodire una forma di tradizione.
Beatrice era cresciuta tra i morti. Da bambina il padre la vestiva da cherubino e la fotografava accanto ai defunti: un ricordo consolatorio per i familiari, una consuetudine piuttosto monotona per lei.
A vent’anni lasciò Beinasco giurando di non tornarci mai più. Diceva che lì anche i vivi sapevano di formalina.
Si reinventò come medium e si fece soprannominare La Duchessa, sostenendo di ricordare una vita precedente in cui era stata una nobildonna bellissima falciata dalla peste nel fiore degli anni.
Nessuno sapeva se ci credesse davvero o se fosse solo un modo per aggiungere charme e autorevolezza alla sua figura.
Il suo vero talento, in ogni caso, era turlupinare le persone: sapeva toccare la loro nostalgia, la loro paura, il loro bisogno di spiritualità e monetizzarli senza pietà.
Per anni viaggiò tra Londra, Parigi e Vienna, ospite di salotti opulenti dove l’incenso si mescolava al profumo di Chanel e menzogne.
Quando le cause legali si fecero troppe, tornò a Torino e acquistò l’attico del palazzo che chiamavano Dito di Mussolini: un grattacielo fascista su Piazza Castello.
Non provava alcuna simpatia per il Duce: semplicemente, l’attico era il punto più vicino al cielo.
Beatrice aveva occhi cerulei e un aspetto fragile che nascondeva una volontà di ferro. Organizzava sedute spiritiche per ricchi annoiati, assistita dal maggiordomo Artemio: un ex bidello addestrato a orchestrare luci, suoni e apparizioni con precisione chirurgica.
La maggior parte delle sedute erano trucchi ben congegnati, finché una notte il trucco non bastò più.
Il silenzio si fece denso, e una voce le sussurrò dietro l’orecchio:
«Tutto si ripete. Tutto è già scritto.»
Da allora Beatrice non dormiva più.
Per questo aveva inscenato il furto. Doveva parlare con Sagrin.
Era disgustata da quell’uomo pingue e grossolano, ma consapevole del suo talento ineguagliabile.
Con il suo aiuto e un pizzico di follia avrebbe potuto risolvere il caso più complesso mai esistito, e forse, finalmente, capire chi davvero tirava i fili tra il mondo dei vivi e quello dei morti.