Ep.7 La seduta spiritica
In cui più sali in alto, più incontri chi sta sotto terra.
Care lettrici e lettori,
Questa settimana Sagrin mette piede nell’attico della Duchessa per la seduta spiritica.
L’aria profuma di incenso e menzogna. Le candele tremolano. E i morti, per la prima volta, risponderanno davvero.
Chi sta ingannando chi? Scopritelo nell’episodio 7. Come sempre trovate sotto il link a tutti gli episodi precedenti.
Buona lettura, e attenti alle ombre.
La seduta spiritica
Sagrin salì le scale del Dito di Mussolini con il fiatone, maledicendo l’ascensore rotto e la propria stazza.
Tutta questa storia dei morti era una grandissima scocciatura, inoltre odiava uscire quando fuori fa buio e l’umido si infila nelle ossa.
L’attico della Duchessa occupava l’ultimo piano del grattacielo.
Le finestre affacciavano su Piazza Castello, e da lassù Torino sembrava un presepe malinconico: luci fioche, traffico lento, una città che non aveva fretta di arrivare da nessuna parte.
Artemio aprì la porta con un inchino perfetto.
«Detective Sagrin. La Duchessa la attende.»
«Sì sì, bando ai convenevoli.»
Il maggiordomo indossava uno smoking nero impeccabile, i capelli tirati all’indietro lucidi come seta.
Sagrin lo guardò brevemente sgusciando dentro all’appartamento.
L’avvenenza del maggiordomo lo irritava, anche se non riusciva a comprenderne il motivo.
La sala della seduta era pronta: un tavolo rotondo al centro, sei sedie, candele ovunque.
In un angolo della sala era predisposto un piccolo rinfresco, una sorta di merenda sinoira: barbera giovane e beverina ad accompagnare tomini elettrici, vitello tonnato, salsiccia di Bra.
Arazzi pesanti coprivano le pareti. L’aria era densa, profumata. Sandalo, mirra, e qualcos’altro che grattava la gola.
«Incenso di Damasco, molto raro», disse Artemio notando il detective intento ad annusare come un cane da trifola.
«Ha l’odore di una sacrestia in rovina, indubbiamente molto particolare.»
Gli altri ospiti erano solo due.
Un antiquario di corso Vittorio, magro come un chiodo, occhiali tondi e un’aria paludata che solo la vita in Pianura Padana sa regalare.
Una gallerista di via Lagrange, il corpo immerso in fragranze di patchouli, le labbra dipinte di un rosso fuoco che più che evocare i morti accendeva pensieri frivoli nei vivi.
«Seduta per pochi intimi stasera», disse Sagrin.
«Le più potenti lo sono sempre», rispose la Duchessa entrando nella stanza.
Indossava un abito color porpora, i capelli bianchi raccolti in uno chignon. Gli occhi cerulei accesi, con una vena di terrore che Sagrin notò subito.
Tutti sedettero. Artemio spense le luci, lasciando solo le candele. Accese tre incensieri disposti a triangolo attorno al tavolo.
Il fumo salì pigro. Sagrin sentì la gola seccarsi, una strana pesantezza diffondersi dietro gli occhi.
Pensò in cuor suo che sarebbe stato bello vedere davvero qualcosa. Vivere senza credere in nulla è dannatamente faticoso.
«Gentili ospiti», disse la Duchessa con voce bassa, «questa sera apriamo una porta sull’occulto. Gli spiriti hanno scelto me per portare i loro messaggi.»
Sagrin estrasse il suo taccuino dei casi e una matita consumata.
La Duchessa lo guardò stizzita.
«Teniamoci per mano. Compreso lei Detective, metta a riposo il suo taccuino.»
Le mani si unirono sul tavolo. La pelle della gallerista era calda e madida di sudore, quella dell’antiquario fredda e avvizzita.
Sagrin strinse senza guardare, mal tollerava il contatto fisico.
La Duchessa chiuse gli occhi.
«Spiriti che siete nell’ombra, voi che conoscete i nomi dimenticati e le colpe sepolte, manifestatevi.»
Che baracconata da due lire, pensò Sagrin.
Il silenzio si fece pesante, solido.
Poi, dall’angolo della stanza, un rumore. Lieve. Come unghie che grattano il legno.
L’antiquario sobbalzò. «Avete sentito?»
«Silenzio», sibilò la Duchessa.
Il fumo si animò all’improvviso, muovendosi con intenzione geometrica fino a formare un cumulonembo compatto al centro del tavolo.
Sagrin sbatté le palpebre. I contorni della stanza si facevano più morbidi, come visti attraverso un vetro appannato.
C’è da dire che si sono impegnati parecchio per mettere su questo spettacolino.
Ma poi la vide.
Un’ombra. Senza fonte, che strisciava lungo la parete come se avesse una volontà propria.
L’ombra si fermò dietro l’antiquario. Prese forma: una sagoma umana, alta, con spalle curve.
«Papà?» mormorò l’antiquario, la voce tremante. «Papà, sei tu?»
Dal buio venne una voce. Bassa, roca.
«Figlio mio.»
L’antiquario scoppiò in lacrime. «Sapevo che saresti venuto. Sapevo...»
La gallerista guardava l’angolo opposto della stanza, dove un’altra figura emergeva dal fumo. Una donna. Vestito lungo, capelli bianchi. Scivolava sul pavimento senza camminare.
«Mamma?» La voce della gallerista si ruppe. Lacrime le rigavano il viso. «È davvero lei?»
«Sono qui, tesoro.»
Sagrin scattò in piedi, brandendo la sua pistola d’ordinanza.
«Bene Duchessa, fermiamo il circo, non vede che sta spaventando tutti a morte?»
Poi si fermò.
Perché il fumo davanti a lui si stava addensando sulla sedia vuota dall’altra parte del tavolo.
Prima fu solo un’impressione. Una macchia più scura.
Poi prese forma. Lentamente.
Una sagoma. Seduta. Le spalle larghe, massicce.
La temperatura crollò di colpo. Sagrin vide il proprio respiro condensarsi in piccole nuvole.
Era il fantasma più tracagnotto che avesse mai visto. Compatto e tenace, come scolpito nella nebbia.
Una voce prese forma nel silenzio.
«Manlio.»
Il nome scivolò nell’aria come una lama fredda.
Il nome che nessuno conosceva. Il nome che aveva seppellito da anni.
Le mani di Sagrin si aprirono da sole. La pistola cadde sul tavolo con un tonfo sordo.
Si alzò. La sedia cadde dietro di lui.
La gallerista gridò in preda all’isteria. L’antiquario emetteva suoni gutturali a occhi chiusi.
Ma Sagrin vedeva solo quell’uomo.
Quella sagoma.
Quella forma che poteva essere solo una cosa.
«Padre?» disse, e la sua voce si spezzò come quella di un bambino. «Tu sei morto. Ti ho visto nella bara.»
La voce dal buio rise. Un suono senza gioia, pieno di scherno.
«Vedere è diverso da sapere figliolo. Pensavi di esserti sbarazzato così facilmente del tuo vecchio? Dio Bono Manlio, sei conciato da far pietà. Con quella divisa ridicola, i baffi a manubrio. Ti fai chiamare Sagrin ora? Il nome che avevo scelto per te ti andava stretto?»
«Non sei reale», balbettò Sagrin. «Non puoi essere reale.»
«Oh, sono reale quanto il fallimento che ti porti addosso, figliolo. Non ho mai sperato nulla per te, ma sei riuscito a tradire le mie ambizioni più semplici. Essere un uomo rispettabile, decoroso.»
Sagrin tremava. Le ginocchia cedettero leggermente.
«Decoroso? Ma se sei stato sempre buono solo a menar le mani e a tracannare Braulio, il padre modello. Stai zitto e riposa in pace.»
Le candele si spensero una a una, come per magia.
L’oscurità calò sulla stanza.
Nell’aria passò un fruscio lieve, come stoffa che sfiora il legno. Ma Sagrin non ci fece caso, sommerso dal terrore.
E in quell’oscurità, sentì qualcosa.
Un tocco. Sulla spalla.
Leggero. Freddo.
Poi più nulla.
Le candele si riaccesero all’improvviso, come se una mano invisibile le avesse riattivate.
L’antiquario boccheggiava reclinando la testa sul tavolo. La gallerista era caduta dalla sedia, tremante contro la parete.
Artemio riemerse dall’ombra nell’angolo, il volto perfettamente impassibile.
Si chinò a raccogliere la pistola di Sagrin dal tavolo e gliela porse con un inchino cortese.
«Detective, le restituisco la sua arma.»
Sagrin la afferrò con mano tremante, senza guardarlo.
Abbassò lo sguardo sulla propria spalla.
Sulla stoffa dell’uniforme, dove aveva sentito il tocco, c’era qualcosa.
Una macchia scura. Granulosa.
Terra.
Sagrin la toccò con le dita. Era umida.
Alzò gli occhi verso la Duchessa.
Lei era immobile sulla sedia, pallida come un lenzuolo. Gli occhi spalancati fissi nel vuoto, come se stesse guardando qualcosa che nessun altro poteva vedere.
Le labbra si mossero appena:
«Stanno arrivando.»
Sagrin uscì dall’attico senza voltarsi, la terra ancora umida sulla spalla, il nome “Manlio” che gli bruciava nelle orecchie come un marchio a fuoco.
Dietro di lui, Artemio chiuse la porta con un inchino cerimonioso.
E nell’ombra dell’attico, per un istante brevissimo, sorrise.




Bellissimo!
E va bhè... se ci tieni così in sospeso ci costringi ad aspettare con ansia il lunedì 👏👏👏