Ep.2 Detective Sagrin sotto i cieli di uva fragola
In cui il Detective dimostra la superiorità morale del buon appetito.
Ecco l’episodio 2, in una nuova versione.
In origine l’avevo pubblicato sotto forma di drabble da 100 parole, ma sentivo che aveva bisogno di più spazio per respirare.
Buona lettura!
Detective Sagrin sotto i cieli di uva fragola
Un nuovo caso per il Detective Sagrin si era presentato alla porta.
Il Detective non vedeva l’ora di mettersi alla prova con un’indagine rigorosa, un intreccio complesso e machiavellico degno di un film di Hitchcock.
Ma la realtà spesso si rivela una versione sciatta della sua controparte cinematografica, e così alla sua porta bussò un modesto caso di furto.
Era stato contattato dal maggiordomo di una signora di una certa età e di nobile lignaggio: una Duchessa.
Dall’appartamento della Duchessa era stato rubato un collier di diamanti e una spilla a forma di tigre tempestata di Swarovski.
Il maggiordomo agganciò la cornetta e si girò verso la Duchessa, che lo guardava con aria speranzosa.
“Artemio, cosa ha detto il Detective?”
“Ha detto che verrà di persona in giornata a verificare, a predisporre le indagini preliminari per il caso”.
“Siamo stati sufficientemente rigorosi vero? Perché a quanto pare il Detective ha la fama di essere un osso duro. Rozzo, ma un vero genio.
Spero che creda alla nostra messinscena. Ho bisogno di tempo per...per spiegargli cosa sta succedendo davvero. Non posso farlo subito, mi prenderebbe per pazza”.
ll maggiordomo la guardò con un sorriso affabile, quello che aveva perfezionato in anni di servizio.
“Non abbia timore Duchessa, ci cascherà sicuramente. Dare la colpa all’imbianchino è credibile. È venuto per ritinteggiare lo studio, aveva accesso alle stanze. E con quella tuta sempre sporca di vernice, il Detective troverà ‘tracce’ ovunque vogliamo che le trovi”.
Sagrin controllò ancora una volta l’indirizzo dell’appartamento sul suo taccuino consunto, mentre il tram sferragliava fragorosamente per le vie del centro. In poco tempo raggiunse la destinazione, Piazza Castello.
Camminava lentamente, troppo impegnato a fantasticare sull’identità della Duchessa. Conservava in sé una vaga speranza di trovarsi di fronte a una donna avvenente, ben piantata come piacevano a lui, con cui togliersi di dosso la mestizia di Torino.
Ma si era abituato a ridurre al minimo le aspettative e lasciarsi eventualmente sorprendere, una strategia adattativa.
L’edificio che chiamavano il Dito di Mussolini si stagliava su Piazza Castello. Sagrin sospirò guardando in alto, poi entrò nel portone. Quando il maggiordomo gli aprì la porta dell’attico, Sagrin entrò con aria navigata. Odiava i convenevoli ma si sforzò di risultare comunque cortese, con una certa difficoltà.
Gli bastò un solo sguardo alla Duchessa per capire che le sue fantasie erano come al solito giustappunto solo fantasie.
Ora poteva solo ambire ad essere retribuito lautamente, e anche su questo nutriva forti dubbi.
Estrasse il suo taccuino dei casi e cominciò a disegnare mentre la Duchessa raccontava del furto.
Prima tracciò i contorni: lei seduta, il maggiordomo in piedi dietro.
Poi aggiunse dettagli: l’angolo delle spalle, la posizione delle mani, la distanza tra i corpi.
Non la guardava negli occhi, odiava il contatto visivo, ma le sue mani catturavano tutto. Non disegnava per ricordare. Disegnava per capire.
Dopo neanche due minuti alzò lo sguardo.
«Quando ha scoperto il furto?»
«Stamattina, verso le nove..»
«Ieri sera» la corresse Artemio. «Ricorda, Duchessa? Quando è rientrata dalla..»
«Ah sì, ieri sera naturalmente.»
Sagrin li guardò entrambi. «Ieri sera o stamattina?»
Silenzio imbarazzato.
Sagrin girò il taccuino verso di loro. Aveva disegnato la Duchessa e Artemio uno accanto all’altra durante il racconto. Le posture erano identiche: spalle alla stessa angolazione, mani appoggiate nello stesso modo, stessa inclinazione del capo. Come attori che avevano provato la scena troppe volte.
«Vittima e testimone non si muovono così. Troppo sincronizzati. Avete provato la scena.»
Tamburellò sulla pagina con la matita consumata.
«E quando si inventa una storia, è meglio mettersi d’accordo prima sui dettagli.»
Chiuse il taccuino con un gesto secco.
«Il furto non esiste. Ora mi dica cosa vuole davvero, Duchessa.»
La Duchessa abbassò gli occhi senza rispondere.
Artemio mantenne il sorriso affabile, ma qualcosa tremolò dietro gli occhi. Le mani si strinsero impercettibilmente dietro la schiena, le nocche bianche.
Sagrin li aveva consegnati alle autorità per le verifiche del caso.
Il furto era una farsa, certo, ma la Duchessa aveva precedenti. Truffe a Parigi, Vienna, Londra. Il questore aveva alzato un sopracciglio leggendo il fascicolo: «Rischio fuga. La mettiamo in custodia cautelare alle Vallette, tanto per sicurezza.»
Sagrin aveva annuito distrattamente. Non erano affari suoi. Il caso era risolto in neanche mezz’ora. Forse troppo facile, pensò. Ma poi scrollò le spalle. A volte i criminali erano semplicemente incompetenti, e non c’era niente di male nell’ammettere che il lavoro era andato liscio.
Ora sedeva all’Osteria Antiche Sere, sotto il pergolato d’uva fragola.
Aveva mangiato bene. Forse troppo.
Agnolotti al sugo d’arrosto, vitello tonnato, un quarto di Barbera che era diventato mezzo senza che se ne accorgesse.
Gli agnolotti erano perfetti, il sugo d’arrosto denso come doveva essere. Il vino sapeva di terra e sole.
Sagrin chiuse gli occhi un momento per assaporare la beatitudine della pancia piena, lasciando che il vino gli scaldasse le ossa.
Questo sì che era risolvere un caso: veloce, pulito, e con la cena pagata.
Sorrise ricordando il suo motto: «Diffidare delle persone magre, non sanno godersi la vita.»
Ridacchiò compiaciuto fumando a grandi volute, osservando le curve della cameriera che sparecchiava i tavoli vicini.
Pagando, le disse: «Continui così signorina, i lavori umili lastricano la strada verso il paradiso.»
La cameriera sorrise educatamente, come si sorride a un vecchio un po’ bizzarro ma innocuo.
Sagrin uscì dall’osteria soddisfatto. Un caso chiuso, lo stomaco pieno, e il resto della giornata davanti a sé.
Torino scivolava nel pomeriggio con la sua solita aria pigra e malinconica.
Il detective si avviò verso casa fischiettando sottovoce.



