Ep.10 Illusioni Italiane
In cui il detective scopre che la verità non sempre vince.
Cari lettori,
questo è l’ultimo episodio della prima stagione di Detective Sagrin.
Quando ho iniziato a scrivere questa storia non sapevo dove mi avrebbe portato.
Non sapevo se qualcuno avrebbe avuto voglia di seguire un detective grottesco e malinconico attraverso una Torino fuori dal tempo.
E invece voi ci siete stati. Settimana dopo settimana.
Il vostro supporto, i vostri messaggi, la vostra presenza mi hanno convinto che questa storia merita di continuare.
Sagrin tornerà a gennaio con una nuova stagione.
Sto lavorando all’intreccio, ai personaggi, alle pieghe oscure che Torino nasconde.
E stavolta so che dall’altra parte ci siete voi.
Grazie per aver creduto in questo progetto tanto quanto ci credo io.
Ci vediamo a gennaio.
Alberto
Illusioni Italiane
Sagrin rimise la pistola nella fondina.
Camminò verso il palco sotto i riflettori.
Sentiva il sudore colargli lungo la schiena. Si sedette accanto alla Duchessa e il legno della sedia scricchiolò con eloquenza.
Lei non lo guardò. Gli occhi vitrei, fissi sul vuoto.
Artemio si rivolse alle telecamere con un sorriso abbagliante.
“Grazie, Detective Sagrin! Lei è sempre così drammatico!”
Il pubblico rise.
“Signore e signori, benvenuti alla prima puntata di ILLUSIONI ITALIANE, il nuovo programma di RAI 1 che smaschera i trucchi, le bugie, le truffe che serpeggiano nella nostra penisola! Ogni venerdì sera, in prima serata!”
Applausi fragorosi.
“E stasera abbiamo un caso straordinario! Un giallo che tocca il cuore di Torino!”
Sagrin estrasse dalla tasca un bastoncino di liquirizia per contrastare la carenza di nicotina. Lo mise in bocca senza dire una parola.
Artemio si voltò verso la Duchessa con espressione fintamente compassionevole.
“Vedete questa donna? La cosiddetta Duchessa. Medium. Sensitiva. Capace, diceva, di parlare coi morti.”
Pausa drammatica.
“Per anni ho lavorato alle sue dipendenze. Il suo fedele maggiordomo. Ho preparato le sedute spiritiche, i trucchi. Luci, ombre, voci registrate, tutto il necessario per creare esperienze stupefacenti.”
“Tutto falso, signori. Una farsa orchestrata alla perfezione. E io ho filmato tutto. Ogni seduta. Ogni bugia. Ogni soldo rubato a gente disperata.”
Sullo schermo gigante dietro di lui apparvero clip brevi: l’antiquario che piangeva, la gallerista affranta, altri clienti in preda a crisi isteriche.
Qualcuno nel pubblico urlò “Vergogna!”
Artemio lasciò che il silenzio pesasse. Poi continuò con voce più intima.
“I miei genitori hanno dedicato la vita all’arte. Mio padre creava sculture con la polvere domestica. Ma un idiota le ha distrutte accidentalmente e mio padre è morto dentro. Aspirato insieme alla sua polvere.”
La voce si incrinò.
“Io ho provato a seguire le sue orme. Ma i critici mi hanno definito ‘derivativo, sciatto, privo di senso.’ Gente che non riconoscerebbe l’arte nemmeno se se la trovasse davanti.”
Si voltò verso le telecamere.
“La verità è che l’arte è morta, signori. Ma la televisione? È viva. La RAI ha creduto in me. Ogni venerdì sera, io sarò la voce della verità.”
Si voltò verso la Duchessa con fare minaccioso.
“E questa donna? Finita. Smascherata.”
Il pubblico esplose in applausi.
Sagrin si alzò. Il bastoncino di liquirizia si spezzò tra i denti con un rumore secco. Lo sputò per terra, vicino alle scarpe lucide di Artemio.
La sua voce era tagliente.
“La sento su di giri Artemio, si dia una calmata. Ho capito tutto.”
Il pubblico si zittì.
“Davvero, Detective? E cosa avrebbe capito?”
Sagrin fece un passo verso di lui.
“La psilocibina negli incensieri, Artemio. Quella droga che i fricchettoni di Porta Palazzo vendono ai turisti. L’ha mischiata con l’incenso di Damasco.”
“Le visioni non erano reali. Erano indotte chimicamente. Tutti noi abbiamo visto quello che la droga ci ha fatto vedere, e lei ha alimentato le visioni con trucchi teatrali, voci registrate e ombre proiettate.”
Si avvicinò ancora.
“Mio padre? Bella panzana. Toccante. Peccato fosse tutto farlocco.”
“Quale sarebbe l’errore, Detective?”
“Mio padre non avrebbe mai detto ‘figliolo’. Mai. Era un uomo pratico. Mai un vezzeggiativo. Le parole calde costavano troppo.”
Sagrin si toccò i baffi.
“Ha recitato un padre che non è mai esistito. Ha letto una cartella su di me, rubata da qualche amico al commissariato. Nome, età, famiglia. Ma le cartelle non dicono come un uomo parla quando è sbronzo marcio.”
Si voltò verso le telecamere.
“Ha orchestrato tutto questo per distruggere la Duchessa e avviare una carriera in televisione. Ha drogato persone innocenti. Ha manipolato i loro ricordi. Ha filmato senza consenso.”
Si fermò davanti ad Artemio.
“Allora mi dica Artemio: perché non la arresto qui, davanti a tutta Italia?”
Artemio fece una pausa. Il sorriso vacillò, poi si ricompose. Più amaro, più vero.
“Perché non può, Detective.”
Si avvicinò a Sagrin.
“La psilocibina? Voglio le prove. Dov’è la sostanza? Evaporata.
Le registrazioni delle sedute? La Duchessa sapeva che filmavo. Contratto firmato, timbrato, protocollato. Il furto iniziale? Inscenato dalla Duchessa. Ed è stato lei Detective a scagionarla davanti alla polizia. Ricorda?”
“E il pubblico sa che questa donna ha rubato soldi a gente disperata. Io sono l’eroe che l’ha smascherata.”
Si avvicinò ancora, quasi naso contro naso.
“Forza, Detective. Mi arresti. Con quale accusa? Con quali prove? Vediamo chi domani mattina finisce sui giornali come il pazzo.”
Silenzio assoluto.
Sagrin strinse i pugni. Sentiva il peso della pistola, totalmente inutile.
“Ha pensato a tutto.”
Artemio sorrise.
“Sono un artista, Detective. E gli artisti non tralasciano mai i dettagli.”
Improvvisamente, la Duchessa si alzò.
Il movimento fu così brusco che tutti si voltarono. Come un burattino con i fili tirati.
I suoi occhi erano spalancati. Non più vuoti. Pieni di terrore.
“Vedo... vedo un bambino.”
La voce era roca, graffiante, ma il microfono la amplificò in tutto lo studio.
Sagrin si bloccò.
“Un pozzo. Buio. Acqua fredda. Lui grida... ‘Aiuto’... ma nessuno viene. È solo.”
La Duchessa fissava un punto oltre le telecamere.
“Capelli biondi. Maglietta della Juventus. Dieci anni. Le mani piccole. Graffia le pareti ma le unghie si spezzano.”
Pausa.
“Tommaso. Si chiamava Tommaso.”
Il nome arrivò e Sagrin sentì il pavimento inclinarsi.
Tommaso.
Nessuno doveva conoscerlo. Era nel suo rapporto privato, sepolto in un cassetto.
La Duchessa aveva detto il nome che nessuno sapeva. I dettagli che solo lui conosceva.
La Duchessa continuò, occhi fissi su Sagrin.
“Sei arrivato sei ore dopo, Detective. Le sue mani erano ancora calde. Tiepide. Avresti potuto salvarlo. Se solo avessi fatto di testa tua.”
La voce divenne quasi un pianto.
“E adesso lui è qui. Con gli altri. Sono tanti.”
Si voltò verso Artemio.
“E vedo Artemio. Al centro. Protagonista di qualcosa che non capisco. Qualcosa che sta per accadere.”
Crollò sulla sedia come un oggetto inanimato.
Il pubblico scoppiò a ridere. Pensavano fosse parte dello spettacolo.
Artemio rise anche lui, ma il suono era forzato.
“Brava, Duchessa! Ancora con i trucchetti!”
Ma Sagrin era immobile.
Perché Tommaso era il nome vero. E nessuno lo sapeva.
Le sei ore. Le mani tiepide.
La Duchessa non poteva saperlo.
A meno che l’avesse visto davvero.
Sagrin si mosse d’istinto. Si avvicinò alla Duchessa, la prese sottobraccio, la aiutò ad alzarsi. Lei tremava, le pupille dilatate.
Si voltò verso Artemio. Voce piatta, stanca.
“Ha vinto, Artemio. Si goda la sua fama. Si goda gli applausi.”
Pausa.
“Ma il successo dura poco. Un battito di ciglia. Le telecamere si spengono, e resti solo davanti allo specchio. E quello specchio non mente mai.”
Artemio mantenne il sorriso, ma per un attimo negli occhi ci fu qualcosa che somigliava alla paura.
“Vedremo, Detective.”
Sagrin portò via la Duchessa. Attraversarono il set, passarono davanti alle telecamere ancora accese, davanti al pubblico in delirio.
Fuori pioveva a dirotto.
La Duchessa tremava, aggrappata al braccio di Sagrin.
“Li ho visti davvero. Non so cosa siano. Ma sono tanti. Sono... vicini. E Artemio è al centro. Non so come, ma è connesso.”
Sagrin annuì. Accese una sigaretta.
“Lo so. E stavolta non arriverò tardi.”
“Perché mi credi?”
“Perché hai detto il nome. Tommaso. E le sei ore. E le mani tiepide. Nessuno sapeva quelle cose. Erano nel mio rapporto privato, chiuso in un cassetto che non apro da vent’anni.”
Pausa.
“E se hai visto quello... allora hai visto anche il resto.”
La Duchessa si fermò.
“Detective... il furto. Quello all’inizio. Non era per i giornali. Avevo paura. Avevo già avuto una visione vera e non sapevo più cosa era reale. Stavo chiedendo aiuto.”
“Lo so. In qualche modo ha funzionato, ora sono qui.”
Sagrin aprì la portiera della Marea. Il motore ruggì sotto le sue mani, forte e fedele come Pellegrino che l’aveva rimesso a nuovo.
“Duchessa... sai guidare?”
“Perché?”
“Perché la prossima volta che vedrai i morti, voglio che tu sia alla guida. Così magari non arriveremo in ritardo.”
Un sorriso amaro le sfiorò le labbra.
“Benvenuta nella squadra. Non si guadagna niente, ma a volte si mangia gratis.”
Salirono. La Marea si mosse nella pioggia.
In lontananza, le luci della Mole si stagliavano nel cielo. La pioggia batteva sul tetto della Marea come un tamburo.
Torino sembrava trattenere il respiro.
Qualcosa stava per cambiare.
E nei sotterranei di via Verdi, Artemio restava solo sotto le luci che si spegnevano.
Aveva vinto tutto.
Ma aveva perso qualcosa che non sapeva ancora di aver perso.




Bene, non vedo l'ora! Sagrin ormai è di casa. Bravo! 💪🏻
Finale coinvolgente e oserei dire commovente! Aspetto senz'altro le nuove puntate. Bravo Alberto!